mercoledì 8 febbraio 2017

LEOPOLI - CENCELLE

La città di Leopoli - Cencelle sorge su una collina di trachite e interessato da insediamenti preesistenti, di origine etrusca. L'insediamento sorge nelle vicinanze del fiume Mignone, che circonda il sito da Ovest e dal rio Melledra, che corre in direzione Nord - Ovest, garantendo sabbia per l'edilizia e soprattutto acqua. La comunicazione era garantita da due assi viari importanti: la Via Aurelia, che attraversando la costa arrivava fino in Liguria, e la Via Cornelia, che attraverso l'antico tracciato etrusco nell'entroterra raggiungeva Tarquinia. Tutt'intorno all'insediamento correva una fitta rete di strade minori che collegavano gli insediamenti minori.

Il Liber Pontificalis della chiesa romana attribuisce al papa Leone IV (847 - 855) l'iniziativa della fondazione di una nuova civitas, che avvenne il 15 agosto dell'854, a 12 miglia dalla città portuale di Centumcellae, che, a seguito delle incursioni dei saraceni, decisero di abbandonare la città e trasferirsi nell'entroterra. Alla fine il pontefice giunse in un luogo che rispondesse alle esigenze della popolazione, come la grande disponibilità di acqua, che consentiva anche di attivare mulini, di trachite e tufo per l'edilizia e perfettamente adatto alla fondazione della civitas.
La scelta insediativa della città corrisponde dunque pienamente a quanto indicavano i trattati militari bizantini circa i requisiti che un territorio doveva avere per accogliere una nuova fondazione urbana.
La basilica episcopale con la cripta (in basso)
Rimane ancora non chiaro il ruolo del sito in epoca romana: gli scarsi ritrovamenti ceramici sono troppo esigui per ipotizzare un proseguo di insediamento.
Il sito, attualmente in fase di scavo, ha restituito numerosi ambienti residenziali, officine per la lavorazione dei metalli e per la produzione di ceramiche, una basilica episcopale dotata di cripta, battistero e fornace campanaria, che per tradizione doveva essere costruita all'interno della chiesa, e due case torri. Gli accessi alla città sono tre. La prima ad essere costruita è la porta orientale, datata al IX secolo e dove è stata rinvenuta una lapide commemorativa di papa Leone IV, successivamente furono costruite le altre due, probabilmente in età comunale (XII - XIII secolo) a Nord - Est e a Sud. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce anche l'area cimiteriale e la necropoli, sempre vicino alla chiesa. Durante il XIV secolo la città è interessata da eventi di portata notevole. Nel 1349 un terremoto sconvolge il Lazio settentrionale, inclusa Cencelle che però riesce a sollevarsi, come testimoniano i numerosi restauri. Facendo parte del Patrimonium Tusciae e ne segue le vicende storiche ed economiche, soprattutto a seguito del trasferimento della sede papale ad Avignone nel 1305. Il sito era conteso tra lo Stato Pontificio, e la potente famiglia ghibellina dei di Vico, stabilitasi nei presi dell'omonimo lago e che mirava ad espandersi all'interno del Patrimonium Sancti Petri e minacciava il potere e i possedimenti papali. Nel 1396, dopo abusi e usurpazioni il territorio ritorna nelle mani dei di Vico dietro il compenso di un falcone all'anno. A partire dal 1414 la città viene inglobata nei possedimenti di Angelo Lavello Tartaglia, capitano di ventura. Nel XV secolo sui monti della Tolfa si avvia un fenomeno molto importante, quello dello sfruttamento della cava di allume, un minerale molto utilizzato all'epoca in ambito tessile per fissare i colori alle stoffe, per la lavorazione del cuoio, per la realizzazione di miniature e come degrassante per l'argilla e la cui importazione da Venezia fu fortemente contrastata dalla battaglia di Lepanto del 1453, vinta dai Turchi. Grazie a questo minerale viene riorganizzato l'intero assetto urbano e demografico, infatti la gran parte della popolazione si trasferì vicino le cave e fondando paesi come Allumiere, Cencelle viene "declassata" a tenuta e affittata al cardinal Farnese nel 1532, mentre nel 1582 passa, invia definitiva, alla Camera Apostolica. Intorno alle allumiere vengono organizzate delle tenute che fornivano materiale e o servizi, ogni tenuta era specializzata nella fornitura di determinati materiali; Cencelle era specializzata nella fornitura di legname; dai dati archeologici sono emersi infatti strumenti agricoli come asce, picconi e ferri di mulo, infatti il trasporto dei materiali avveniva infatti a dorso di mulo.
La basilica da un'altra prospettiva



A PRESTO
 
Simone C.

lunedì 12 dicembre 2016

RILIEVO FUNERARIO DEI RABIRII E DI USIA PRIMA

Questa lapide funeraria, facente parte probabilmente di una grande ara, fu rinvenuta sulla Via Appia a circa 200m dal sepolcro di Tiberio Claudio Secondo, ritrae due liberti, (dai cui nomi si è risalito alla loro provenienza greca) C. Rabirius Post(umi) l(ibertus) Hermodorus e Rabiria Demaris ed una terza figura, una sacerdotessa del culto di Iside Usia Prima sac(erdos) Isidis ai cui lati sono esposti gli strumenti di culto ovvero una coppa e un sistro (strumento musicale a corde). Le prime due figure si datano attorno al 40 a.C. mentre la figura femminile a destra e stata realizzata successivamente, forse rielaborando una figura maschile.


La lapide funeraria dei Rabirii e di Usia Prima /Funerary tombstone of Rabirii and Usia Prima

Funerary relief of Rabirii and Usia Prima

This tombstone, probably part of a large ara, was found on the Via Appia, about 200m from the tomb of Tiberius Claudius Second, depicts two freedmen (From whose name has climbed to their Greek origin) C. Rabirius Post(umi) l(ibertus) Hermodorus e Rabiria Demaris and a third figure, a priestess of the cult of Isis Usia Prima sac(erdos) Isidis whose sides are exposed cult instruments like a cup and a sistrum (Stringed musical instrument). The first two figures date from around 40 BC while the female figure on the right and was made later, perhaps reworking a male figure.


Il Sistro / The Sistrum


A PRESTO!

Simone C.

giovedì 1 settembre 2016

LA BASILICA DI SAN BARTOLOMEO ALL'ISOLA

La Basilica di San Bartolomeo Apostolo fu costruita intorno all'anno 998 dall'imperatore del Sacro Romano Impero Ottone III per ospitare le spoglie dell'apostolo Bartolomeo, martire ucciso, secondo la tradizione, scuoiato vivo da parte del re dei Medi.
In principio la chiesa venne costruita per essere dedicata a Sant'Adalberto di Praga, morto martire nel 997 e amico di Ottone III ma quando arrivarono le sue spoglie a Roma la basilica cambiò nome.
L'edificio sorge sull'Isola Tiberina, meta di pellegrinaggi già in tempi antichi in quanto, sotto l'impero Romano, fu costruito il tempio di Asclepio.
Sempre all'epoca romana risale un pozzo, la cui acqua era considerata miracolosa e che si trova oggi all'interno della Basilica, divenendo un simbolo evangelico. Infatti, nella vera di marmo che lo sovrasta, vi è un'immagine di Cristo e agli occhi di chi guarda suggerisce la parole tratte dal Vangelo secondo Giovanni:
Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno. (Gv 7,38).
Nel 1557 una piena del Tevere la distrusse quasi completamente. Fu ricostruita con una facciata completamente barocca e su due piani nel 1624 da Orazio Torriani, successivamente fu restaurata nel 1852. Il campanile romanico è del XII secolo. L'interno, è diviso da tre navate, separate da due file da quattordici colonne, la particolarità di questa chiesa è che ha il transetto ed abside rialzati, il soffitto è diviso in cassettoni ed è decorato con affreschi (1865).

L'epigrafe, posta a metà della facciata recita:

IN HAC BASILICA REQVIESCIT CORPVS S. BARTOLOMAEI APOSTOLI /
IN QUESTA BASILICA RIPOSA IL CORPO DI SAN BARTOLOMEO APOSTOLO.


The Basilica of St. Bartholomew the Apostle was built around the year 998, by the Emperor of the Holy Roman Empire, Otto III to house the remains of the Apostle Bartholomew, martyr killed by the king of the Medes who flayed him alive. 
In the beginning the church was built to be dedicated to St. Adalbert of Prague, close friend of the Emperor Otto III. St. Adalbert was martyred in 997, but when his remains arrived in Rome the basilica was renamed. 
The building is located on the Tiber Island, a destination for pilgrims since ancient times because, under the Roman Empire, was built the temple of Asclepius. 
It belongs to Roman times a well, the water of which was considered miraculous, and it is now inside the Basilica, becoming an evangelical symbol. In fact, on the marble curb above it, there is an image of Christ and in the eyes of the beholder he suggests the words from the Gospel of John:
Who is thirsty come to me and drink who believes in me; as Scripture says: Rivers of living water will flow from within. (Jn 7:38).
In 1557 a flood of the Tiber almost completely destroyed it.
It was rebuilt with a completely Baroque façade and two floors in 1624 by Orazio Torriani, then it was restored in 1852. The Romanesque bell tower was built the twelfth century. The interior is divided by three naves separated by two rows of fourteen columns, the peculiarity of this church is that it has the transept and apse raised, the ceiling is divided into drawers and is decorated with frescoes (1865).

 
The epigraph, placed in the middle of the facade reads:IN HAC BASILICA REQVIESCIT CORPVS S. BARTOLOMAEI APOSTOLI /THIS CHURCH RESTS THE BODY OF ST BARTHOLOMEW APOSTLE

A PRESTO!

Scritto da: SIMONE C.
Tradotto da: ALESSIO PELLEGRINI

venerdì 12 agosto 2016

CRATERE DI ΕΥΘΡΟΝΙΟΣ

Il Cratere di Εὐϕρόνιος o Cratere di Sarpedonte, è un cratere  a calice modellato dal ceramista Εὐξίθεος (Euxiteos) e dipinto dal pittore Eufronio intorno al 515 a.C.
Il cratere, proveniente da una tomba etrusca scavata illecitamente nel 1971 nei pressi della necropoli etrusca dell'antica Caere, l'attuale Cerveteri (RM), fu trafugato e rivenduto alla modica cifra di un milione di euro dal mercante d'arte svizzero Robert Hecht Jr. e dal mercante d'arte italiano Giacomo Medici al Metropolitan Museum of Art di New York.
Una complessa e massiccia attività d'indagine svolta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Etruria Meridionale, affiancata dalla Procura di Roma e dal Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ha permesso, dopo una serie di trattative con il Metropolitan Meuseum of Art e grazie a degli accordi diplomatici, di far rientrare l'opera in Italia nel 2008.
Dopo una serie di mostre, come a Mantova (Mostra "La forza del bello" al Palazzo Te), Roma e ad Atene, a fine 2009 l'opera fu trasferita al Museo Nazionale di Villa Giulia a Roma e vi rimase fino a febbraio 2015, quando l'opera fu definitivamente trasferita al Museo Nazionale Cerite, in occasione del riconoscimento UNESCO della Necropolio della Banditaccia di Cerveteri.
Le anse dividono la superficie in due aree decorate con scene differenti, separate all'altezza delle anse da una decorazione a palmette che Euphronios, unico tra i pionieri a interessarsi a questi aspetti
decorativi, deriva da Oltos.
La scena sul lato principale è tratta dall'Iliade e narra della morte di Sarpedonte, figlio di Zeus e di
Laodamia, alleato dei Troiani nella guerra contro gli Achei. Le personificazioni del Sonno, Hypnos e della Morte, Thanatos, ne riportano il corpo in patria, trascinandolo via dal campo; il dio Hermes, al centro della scena, dirige l'operazione. La composizione è dominata dal grande corpo di Sarpedonte che evidenzia la padronanza raggiunta da Euphronios nella rappresentazione dello scorcio e nella rappresentazione della struttura anatomica; le due figure allegoriche, chine sul re licio, sono rappresentate, a parte le ali, come guerrieri, in pose naturalistiche e con anatomia precisa.
due altri guerrieri chiudono la scena alle estremità; sono figure stanti, osservatori, tradizionalmente presenti ad indicare l'esemplarità della rappresentazione, forse un collegamento tematico con il gruppo di giovani che, sul lato opposto del cratere, vengono raffigurati nell'atto di indossare le armi prima di una battaglia: una scena del genere, non necessariamente collegata ad eventi identificabili.
Si tratta di giovani ateniesi contemporanei, ma identificati con nomi tratti dalla mitologia dalle iscrizioni che accompagnano ciascuna figura. La scelta di unire scene storiche a vicende mitologiche, sullo stesso vaso e con lo stesso stile, crea un legame tra l'attualità e il mito.

The Crater Εὐφρόνιος or Crater of Sarpedon is a goblet shaped crater made by the potter Εὐξίθεος (Euxiteos) and painted by Eufronio around 515 BC. The crater has been found  
in an Etruscan tomb illegally excavated in 1971. The tomb is near the Etruscan necropolis of Caere, now Cerveteri (RM),it was stolen and resold to the modest sum of one million Euros by the Swiss art dealer Robert Hecht Jr. and the Italian art dealer Giacomo Medici, to New York's Metropolitan Museum of Art. 
A complex and massive investigative activity has been carried out by the Superintendence for Archaeological Heritage of Southern Etruria, flanked by prosecutors of Rome and the General Command of the Carabinieri for the Protection of Cultural Heritage has allowed, after a series of negotiations with the Metropolitan Meuseum of Art and thanks to the diplomatic agreements, to return the work in Italy in 2008. After a series of exhibitions, in Mantova (See "The strength of beauty" at the Palazzo Te), Rome and Athens, in 2009 the work was transferred to the National Museum of Villa Giulia in Rome and remained there until February 2015 when it was finally transferred to the National Museum Cerite, on the occasion of the UNESCO recognition of Necropolio of Banditaccia of Cerveteri. 
The loops divide the area into two areas decorated with different scenes, the height of the loops is separated from a decoration of palmettes that Euphronios, one of the pioneers to take an interest in these decorative issue, derives from Oltos.
The scene on the primary side is taken from the Iliad and tells of the death of Sarpedon, son of Zeus and Laodamia, an ally of the Trojans in the war against the Achaeans. 
The personification of Sleep, Hypnos and Death, Thanatos, take the body back home, dragging it away from the field; the god Hermes, from the center of the scene, directs the operation. 
The composition is dominated by the large body of Sarpedon that highlights the mastery achieved by Euphronios in foreshortening representation and of the anatomical structure; the two allegorical figures, bent on the Lycian king, are represented, apart from the wings, as warriors in natural poses and precise anatomy.
Two warriors close the scene at the ends; they are standing figures, observers, traditionally found indicating his exemplary representation, maybe a thematic link with the group of young people who are depicted on the opposite side of the crater, in the act of wearing their weapons before a battle: a scene that's not necessarily linked to identifiable events.
These are young Athenian contemporaries , but identified with names of the mythology thanks to the inscriptions accompanying each figure. The decision to combine historical scenes and mythological tales on the same vessel and the same style, creates a link between the current situation and the myth.

A PRESTO!
Simone C.

Tradotto da: Alessio Pellegrini
Translated by: Alessio Pellegrini




 

martedì 2 agosto 2016

PONTE EMILIO O PONTE ROTTO


Il Ponte Emilio (Pons Æmilius) o Ponte Rotto (Pons Fractus o Pons Ruptus) è il più antico ponte in muratura di Roma. 
La sua costruzione, viene attribuita ai censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, ma secondo Tito Livio e Plutarco la costruzione dovrebbe essere attribuita a Manlio Emilio Lepido, che avrebbe fondato solo i piloni in muratura nel 241 a.C., il che significa che l'impalcato del ponte era in legno. Nel 179 a.C. Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore avrebbero sostituito l'impalcato in legno con una in muratura, trasformandolo in un ponte di sola pietra. 
Secondo alcune fonti a sostituire l'impalcato in legno sarebbero stati i censori Publio Cornelio Scipione Emiliano (il generale che distrusse Cartagine nel 146 a.C.) e da Lucio Mummio Acaico (il generale che distrusse Corinto nel 146 a.C.). 
Del ponte resta solo un'arcata del Cinquecento, quando venne realizzato l'ultimo rifacimento del ponte che era già stato distrutto dalle alluvioni del 1230 e del 1422. Nel 1598, a seguito dell'ennesima alluvione il ponte perse tre delle sei arcate e non fu più ricostruito, assumendo il nome di Ponte Rotto. 
Nell'Ottocento fu realizzata una passerella in ferro che collegava ciò che restava del ponte con la riva sinistra del fiume Tevere. 
In seguito la passerella venne eliminata e le due arcate più vicine alla riva abbattute per permettere l'innalzamento dell'argine. 
L'arcata superstite poggia ancora sui piloni del II secolo a.C. 


The Ponte Emilio (Pons Æmilius) or Broken Bridge (Pons Fractus or Pons Ruptus) is the oldest bridge in masonry of Rome. 
Its construction is attributed to the censors Marcus Aemilius Lepidus and Marcus Fulvius Nobilior, but according to Livy and Plutarch the construction should be attributed to Manlius Lepidus, who would have founded only the masonry piers in 241 BC, meaning that the ride of the bridge was made of wood.
In 179 BC Lepidus and Marcus Fulvius Nobilior would have replaced the wooden ride with a stone one, turning it into a single stone bridge.
According to some sources, the censors Publius Cornelius Scipio (the general who destroyed Carthage in 146 BC) and Lucius Mummius Achaicus (the general who destroyed Corinth in 146 BC) would have replaced the wooden ride
Only one bridge's arch of the Sixteenth century remains, which is the time of its last renovation, in fact it had been destroyed by floods in 1230 and 1422.
In 1598 yet another flood struck the bridge and it lost three of six arches and was never rebuilt, so it was named "Ponte Rotto". 
In the nineteenth century an iron bridgewas built to connect the remainings of the bridge to the left bank of the River Tiber. 
The gangway was removed and the two closest shore arches were torn down in order to allow the raising of the embankment. 
The surviving arch rests on the second century BC pillars.


A PRESTO!

Simone C.


martedì 19 luglio 2016

IL TEMPIO DI GIOVE OTTIMO MASSIMO AL CAMPIDOGLIO


Il Tempio di Giove Ottimo Massimo (aedes Iovis Optimi Maximi Capitolini) o Giove Capitolino era il più grande monumento esistente sul Campidoglio. Fu il centro del culto di stato romano, e fu eretto, secondo la tradizione, in concorrenza con il tempio dedicato a Iuppiter Latiaris (Giove Laziale), sul Mons Albanus (attuale Monte Cavo). 

Davanti al tempio terminavano le cerimonie trionfali e vi si svolgevano le assemblee solenni del senato romano, oltre ai sacrifici augurali dei nuovi consoli. 
All'interno del tempio vi erano depositati i Libri Sibillini, una raccolta dei responsi oracolari scritti in lingua greca. 
La sua fondazione è attribuita al re Tarquinio Prisco nel VI secolo a.C. e terminarono sotto Tarquinio il Superbo (535-509 a.C.) e venne inaugurato il 13 settembre 509 dal console Marco Orazio Pulvillo.

Date le grandi dimensioni (53X62 metri ed una superficie di 15.000 mq) testimoniavano forse la ferma decisione di fare di Roma la capitale della Lega Federale Latina.
Nel III secolo il frontone fittile rappresentante una quadriga, fu sostituito da una sua replica bronzea. Durante l'incendio dell'83 a.C. fu quasi interamente distrutto e con esso anche i Libri Sibillini.
La ricostruzione in pietra fu affidata all'edile Quinto Lutazio Catulo da Lucio Cornelio Silla, che la terminò nel 69 a.C. rispettando la pianta e l'aspetto precedenti. Secondo molte fonti Silla fece prelevare a tal proposito le colonne dal tempio di Zeus Olimpico ad Atene. 
Sotto Ottaviano Augusto il tempio viene restaurato e abbellito e Svetonio, nell'Augustus, afferma che fece portare al santuario sedicimila libre d'oro, pietre preziose e perle per un totale di cinquanta milioni di sesterzi. 
Distrutto e riedificato più volte, dopo l'incendio nel 69 e nell' 80, fu, secondo Procopio di Cesarea, danneggiato e spogliato del tetto dai Vandali di re Genserico durante il saccheggio del 455. Del tempio non rimane più nulla se non delle mura di fondazione.


Il tempio era periptero su tre lati (ovvero era circondato su tre lati da un portico), esastilo (in corrispondenza dell'ingresso vi erano sei colonne) e sine postico (ovvero non presentava colonne sul lato posteriore) anche se sulle monete e sulle raffigurazioni il tempio viene rappresentato tetrastilo (con quattro colonne).

Secondo quanto indicato da Vitruvio nella sua opera "De architectura", l'intercolunnio era areostilo, cioè la distanza fra le colonne alla base era particolarmente ampia (superiore a tre volte il diametro del fusto) e tale da rendere impossibile la presenza di architravi in pietra. All'interno del tempio vi erano tre celle, destinate alle tre divinità capitoline: Giove Capitolino, la statua principale, era collocata nella cella centrale e ai lati quelle di Giunone e Minerva.


Per la decorazione con statue e fregi di terracotta policroma furono coinvolti artisti veienti, tra cui lo scultore Vulca, che eseguì la statua di Giove e una quadriga in terracotta sul fastigio; quest'ultima era considerata uno dei sette Pignora Imperii di Roma. Lo stile di queste sculture non doveva differire molto dalle statue del Santuario di Portonaccio (come il celebre Apollo di Veio).

La statua di culto principale, ovvero Giove Capitolino, distrutta dall'incendio, fu sostituita nel 65 a.C. da una statua crisoelefantina, scolpita dall'artista ateniese Apollonio, probabilmente sul modello di quella di Statua di Zeus a Olimpia; probabilmente è lo stesso autore del Torso di Belvedere firmato "Apollonios figlio di Nestore". È assai probabile che di questa statua vennero fatte numerose copie inviate ai municipi delle città italiche colonizzate da Roma: in questo caso la migliore delle copie sarebbe il Giove di Otricoli, oggi ai Musei Vaticani.
La quadriga invece venne rifatta nel 296 a.C. a spese degli edili di quell'anno, i fratelli Ogulnii, che fecero anche rifare la lupa bronzea per il Lupercale.

The Temple of Jupiter Optimus Maximus (aedes Iovis Optimi Maximi Capitolini) or Jupiter was the largest existing monument on the Capitol. 
It was the center of the cult of the Roman state, and was built, according to tradition, in competition with the temple dedicated to Jupiter Latiaris (Jupiter Laziale),on the Mons Albanus (now Monte Cavo). 
Ceremonies of triumph ended before the Temple and there were held solemn assemblies of the Roman Senate, in addition to the sacrifices for the new consuls.
Inside the temple were deposited the Sibylline Books, a collection of oracular responses written in Greek. 
Its foundation is attributed to King Tarquinius Priscus in the sixth century BC and it was completed by Tarquinius Superbus (535-509 BC). 
It was inaugurated on september 13 by 509 Marcus Horatius Pulvillus console.

Considering its dimentions (53X62 meters and an area of ​​15,000 square meters) it could be interpreted as the firm will to make Rome the capital of Latin Federal League. 
In the third century the clay pediment depicting a chariot was replaced by one made of bronze. During the fire in 83 BC It was almost completely destroyed and with it the Sibylline Books. 
The stone reconstruction was entrusted to the "Edile" Quintus Lutatius Catulo by Lucius Cornelius Silla, who finished it in 69 BC respecting the plant and the previous look. 
According to many sources Silla had taken the columns of the temple of Olympian Zeus in Athens and used them for the roman temple. Under Octavian Augustus, the temple was restored and embellished and Suetonius,in its work "The Augustus", says that he brought to the Temple, sixteen thousand pounds of gold, precious stones and pearls for a total of fifty million sesterces. 
It was destroyed and rebuilt several times, after the fire in 69 and 80.
According to Procopius of Caesarea, it was damaged and stripped by the Vandals of King Genseric during the looting of the temple in 455. 
Nothing remains of this magnificent temple, except the walls of foundation.

The temple was peripteral on three sides (it was surrounded on three sides by a portico), hexastyle (at the entrance there were six columns) and sine postico (it did not present columns on the back) although on coins and representations the temple is represented tetrastyle (with four columns).
As indicated by Vitruvius in his "De architectura", the intercolumniation was areostilo, the distance between the columns at the base was particularly large (more than three times the diameter of the stem) and such as to make impossible the presence of stone lintels. 
Inside the temple there were three cells, destined to the three Capitoline gods: Jupiter, the main statue was placed in the central chamber and the sides of the Juno and Minerva. 
For the decoration with polychrome terracotta statues and friezes were involved Veii artists, including the sculptor Vulca, who made the statue of Jupiter and a terracotta quadriga on the pediment; it was considered one of the seven Pignora Imperii of Rome. 
The style of these sculptures should not differ much from the statues of Portonaccio Sanctuary (like the famous Apollo of Veii).
The main statue of worship, representing Jupiter, was destroyed by fire. 
It was replaced in 65 BC by a chryselephantine statue, sculpted by Athenian Apollonius, probably on the model of  the Statue of Zeus at Olympia; he is probably the author of the Torso of Belvedere signed "Apollonius son of Nestor."
It is very likely that were made numerous copies of this statue and sent to the municipalities of the Italic cities colonized by Rome: the best of the copies is the Jupiter of Otricoli, now in the Vatican Museums.
The Quadriga instead was rebuilt in 296 BC at the expense of the "Edili" of that year, the Ogulnii brothers, who also did redo the bronze she-wolf for Lupercal.

A PRESTO!

Simone C.

giovedì 14 luglio 2016

MOSAICO CON ORESTE E IFIGENIA

Questo mosaico a tessere minute è stato utilizzato su un supporto di terracotta e doveva servire come emblema centrale di un pavimento. Datazione cronologica oscillante tra il II ed il III secolo d.C.
e provenienti dagli Horti di Mecenate. Fu rinvenuto nel 1876 nei pressi dell'Auditorium. Secondo la mitologia, Oreste ed Ifigenia erano i figli di Agamennone, re di Micene e di Clitennestra, figlia di Leda e Tindaro, re di Sparta nonchè sorella di Elena di Troia.

This tesellated mosaic is laid upon a terra-cotta support and served as a central emblema in a floor decoration. it can be dated between the second and third century AD. From the Horti Maecenatiani. found in the area near the Auditorium in 1876. In Greek mythology, Orestes and Iphigenia they were sons of Agamemnon, king of Mycenae and Clytemnestra, daughter of Leda and Tyndareus, king of Sparta, as well as sister of Helen
of Troy.

A PRESTO!

Simone C.